Chi

era?

Domenico Piro

alias “Duonnu Pantu“

Due cose sono certe: i versi poetici e la sua Aprigliano, un paese tra Cosenza e la Sila, dove nasce nel 1664 o 65, dove morì a soli 35 anni. Prete rivoluzionario, di notevole cultura, di raffinata vena poetica. Il primo autentico poeta dialettale calabrese. Sulla sua identità storica restano parecchi dubbi, alimentati dalle solite contese tra studiosi a partire da Lugi Gallucci (il primo interprete che nel 1833 ha messo ordine nella produzione pantiana). Don Domenico appartiene a una famiglia di sacerdoti gli zii materni Giuseppe e Ignazio Donato.

I tre, oltre che somministrare sacramenti, sono specializzati in pasquinate. Infatti, sono conosciuti con un nomignolo: gapulieri, ossia criticoni. Piro, a differenza degli zii, si specializza nella scrittura erotica , che racconta in alcuni poemi (la Cazzeide e la Cunneide) pieni di riferimenti colti e oscenità e caratterizzati da un uso virtuosistico dei versi in dialetto.

Importante

Ricordare

Nel cenacolo di Aprigliano, assieme al Piro, troviamo Domenico e Ignazio Donato, latinisti e giuristi, zii del Piro (già menzionati) Carlo Cosentino cui si deve una delle prime opere in dialetto calabrese, una traduzione nel vernacolo bruzio della “Gerusalemme Liberata” di Torquato Tasso. Era questo il sodalizio dei “Guapulieri” soliti di girovagare nei mercati rionali alla ricerca “del Parlato più autentico.

Pantu con la ricercatezza e ricchezza del suo dialetto la vivacità della sua intelligenza, riesce a rompere con la cultura stantia e nauseante dell’epoca, dando alla poesia florida bellezza e diversità, orientando al riso e alla contentezza una condizione tragica e amara quale era quella dell’autoritarismo prevaricatore della inquisizione calabrese, soprattutto cosentina che aveva messo in fuga e all’esilio a Napoli i componenti dell’Accademia Cosentina.

Pantu se pur richiamato all’ ordine, venne in seguito incarcerato da Gennaro Sanfelice, arcivescovo di Cosenza. Alla base del dissidio tra Piro e Sanfelice – che, da buon napoletano, è piuttosto tollerante – ci sarebbe stato un piccolo tumulto nel collegio del Seminario di Cosenza, raccontato nel poemetto ”La briga de li studienti:” alcuni studenti poveri, costretti ad accontentarsi della mensa, rubano le vettovaglie ai ricchi.

Un “esproprio proletario” in piena regola.

CAZZEIDE

Pantu resta coinvolto nella bagarre e finisce in cella di rigore proprio per ordine dell’arcivescovo. La poesia è un’arma potente, sia quando commuove sia quando ridicolizza. Duonnu Pantu, dopo alcuni giorni di gattabuia, indirizza una supplica (Lu mumuriale) a Sanfelice per poter ritornare a “lu biellu casale de la Grupa”. L’arcivescovo convoca il giovane prelato e gli annuncia l’imminente liberazione. Ma la tentazione di fare un’ennesima burla è forte. E Pantu non è tipo che sa resistere: infatti, mette sulla porta della cella un cartello con la dicitura “si loca”, cioè affittasi.

Sanfelice, riconvoca Pantu e gli chiede il perché della scritta. «Monsignore, visto che me ne vado, resta vuota, quindi si loca», è la risposta beffarda, «Bene», replica l’arcivescovo, «ci resterete voi finché non arriverà il nuovo inquilino». A questo punto, la sfida entra nel vivo e Pantu gioca un’altra carta. Il prigioniero si è accorto che nel cortile davanti alla cella si radunano tutti i giorni dei ragazzini. Li chiama, gli insegna dei versi e gli affida un compito: recitarli ogni sera sotto casa dell’arcivescovo. I versi recitano così: «Bonsegnù, Bonsegnù, fùttete l’ossa/ lu vicariu allu culu e tu alla fissa/ vi ca si nun me cacci de sta fossa/ iu dicu c’hai prenatu la patissa» (Monsignore, monsignore… se non mi tiri fuori dico che hai ingravidato la badessa). Dopo alcuni giorni di questo battage, l’arcivescovo cede. Ma non vuole capitolare. E fa una proposta a Duonnu Pantu.

La libertà (la tentazione più forte) in cambio di una poesia dedicata alla Madonna. Ma per cortesia, niente volgarità. La leggenda narra che Pantu abbia eseguito il compito più o meno alla lettera. Ma di questa poesia resta solo un verso, in cui il Nostro racconta a modo suo la verginità della Madonna: «E nzinca chi campau la mamma bella/ de cazzu nun pruvau na tanticchiella» (ossia: «Finché campò la mamma bella…»). Già alle tentazioni Pantu non sa resistere.
Ma c’è da dire che l’arcivescovo mantiene comunque la promessa. Ciò fa pensare che, sotto sotto, anche lui sia stato al gioco.

L’ultima tentazione di Pantu: la leggenda attribuisce a Pantu una morte degna della sua vita. O, almeno della sua poesia. Malato di tisi e agonizzante, il giovane sacerdote sente gli amici e i parenti bisbigliare in attesa del suo trapasso. Pantu si risveglia di botto e chiede beffardo: «Si parrati ’i cunnu miscatiminnici puru a mia» (cioè: se parlate di… fatemi partecipare), Poi chiude gli occhi e raggiunge Sanfelice, morto due anni prima.

Cunneide

Fu un grande combattente nella sua battaglia culturale contro una morale bacchettona e ipocrita.

Domenico Piro oltre alle poesie pervenute scrisse altre opere, un poemetto andato perduto “Calabria Rinumata“  malaguratamente non abbiamo traccia ne del poema ne delle altre opere. Isuoi componimenti poetici sono sei: ”Lu Mumuriale”, “La Pruvista”, ”la Cunneide”, ”LaCazzeide”, tre sonetti e una canzone . “La Pruvista è un canto in cui il poeta finge che l’arcivescovo accolto benevolmente “Lu Mumuriale” conceda la grazie con una “provvista” ovvero un decreto. La Cazzeide è la storia dell’Amore puro e senza malizia nelle favolose età mitologiche, con il trascorrere del tempo diventa audace e disinibito nel secolo XVII. “LaCunneide” è un componimento di 48 strofe saffiche ed una celebrazione della sessualità maschile con evidente discendenza dai carni priapei per le reminiscenze in esso molto presenti. Il celebre sonetto “Jisti de Pinnu” è un  ‘autentica rarità  nel  genere burlesco della poesia dialettale . ”Suniettu” altro sonetto in egual modo evidenzia le grandi capacità del poeta. Per Concludere la “Canzuna“ in cui viene sottolineata l’amara verità del vivere in miseria del letterato <<Fratemma  dice ca nun vale l’uoru>>…questa amarezza nelle parole del poeta sottolineano  quanto è importante guardare in faccia la realtà, avere coscienza e  con coraggio affrontare  la vita.

È seppellito nella parrocchia di Santo Stefano, frazione di Aprigliano.

Il coraggio è la via per la libertà.